Versi da tavolo. Prologo

VERSI DA TAVOLO by Tobia Teardo



Mi frulla in testa un’idea. 

Da qualche tempo (dieci anni, praticamente un battito di ciglia) rimugino ossessivamente sui parallelismi e alle affinità fra il game designer e il poeta nella sua forma più pura (cioè, il tizio che scrive le poesie).

Provo a spiegarmi:


La contemporaneità culturale occidentale si è caratterizzata da una maggiore complessità e profondità nella lettura della comunicazione artistica. Da Cezanne in poi, siamo alla fine del 1800, s’instaura una forma di ibrido artistico-psicologico che ammanta tutte le creazioni da quel momento in poi. Sono gli anni della psicanalisi, ma sono soprattutto gli anni di Montale, una sorta di precursore di un linguaggio, a suo dire “ermetico”, nel quale fonde le sonorità della parola scritta con le liriche dei suoi versi per suscitare nel lettore una sinestesia di significanti, dotati di forma e fisica originali, come figli di una sintassi multisistemica.

È lui, il nostro buon Eugy Monty, come lo chiamo familiarmente, uno dei grandi pionieri della poesia “dimensionale”, ovvero quella particolare modalità di fare arte che sfrutta più sensi per condensare messaggi dalle incredibili proprietà comunicative.


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Non è un caso che, nello stesso periodo, il cinema inizi ad affermarsi, prima come semplice spettacolarizzazione tecnologica, in seguito come protagonista e detentore di uno dei linguaggi più completi e apprezzati dei nostri tempi.

È innegabile la componente plurisensoriale della manifestazione cinematografica. La conosciamo tutti bene. 

Questo rappresenta l'imprescindibile volontà umana e storica di riuscire a comunicare sensazioni e concetti a più livelli di comprensione.

Dal cinematografo all'idea tutta moderna di inserire lo spettatore, inteso come colui che fruisce dell'opera, all'interno dell'opera stessa il passo è breve. Per avere un’idea di quel che intendo, basta farsi una passeggiata alla Biennale di Venezia per scoprire le molteplici possibilità con la quale un'idea artistica può interagire con noi. Si tratta, in fondo, di un vero e proprio gioco. Serve a garantire allo spettatore la giusta dose d’intrattenimento necessaria in tempi rapidi come i nostri. Incapace di contemplare e ragionare sulle cose, lo spettatore deve necessariamente essere coinvolto e intrattenuto. Ciò si compie al fine di non perdere la sua attenzione e per poter vendere al meglio il prodotto artistico. Arti borghesi per tempi borghesi.

La poesia è altro; coinvolge, nel senso che stabilisce un legame che va costruito, ricercato. Non è semplice stimolo per esseri passivi. La poesia funziona quando la provi, quando ci giochi, quando la accetti e la indossi.

Manca solamente un piccolo tassello per far quadrare il cerchio (scusate la lungaggine): figlio del nostro tempo è il gioco da tavolo contemporaneo. Pressoché perfetta piattaforma evocativa, esso offre la possibilità di cimentarsi con realtà ed esperienze fondative ed educative.

Coloro che nella seconda metà del '900 inventarono perle come “Magic the Gathering” o “I Coloni di Catan” o anche “Inkognito”, non furono soltanto forti pensatori di un’intuizione meccanica, ma cantori di vera e propria poesia: in questi giochi si racchiudono esperienze e autoanalisi del Sé: attraverso essi riusciamo a vivere gli stessi estri Montaliani del verso “multidimensionale”, ma in un campo che scopre nuova completezza e si rivela più intuitivo, come se fosse sempre stato quello il suo ambiente ideale.

Struttura perfetta per il poeta è il board game. In esso, egli riesce come un abile regista a creare la suspense e a catturare i fruitori rendendoli partecipi, attivi. Vivi nella sensazione che il gioco ci sta cambiando e ci insegna qualcosa.

Non più soltanto quartine e rime incatenate: il poeta contemporaneo può sublimare le sue strofe in algoritmi e frazioni, nell’ideare ambientazione, illustrazioni e grafica, come a voler costruire una sorta di palla di cristallo che cela in sé ogni possibilità percorribile dalla letteratura e dall'umanamente instancabile necessità di farsi capire e di far provare al mondo la propria esperienza.


E nel gioco da tavolo, o anche nel GDR, talvolta, si nasconde in bella vista il suo autore. Prendi un “Cartagena” di Colovini o un “Duralande” di Marta Palvarini. Queste opere raccontano tutte le passioni e le convinzioni dei loro autori. Talvolta esplicitate e potentissime, altre volte ermeticamente celate come una strofa delle Occasioni o un quadro di Mirò.

Perchè in un gioco, spesso, risiedono le visioni del suo autore, la sua complessità e la sua verità. Non è forse lo stesso per la poesia? Non è forse più concreta, più palpabile, la suggestione di un “Ta-pum!” nel quale non rimani solamente immobile a vedere la tua vita passare, ma la giochi da protagonista, la sperimenti immergendoti nel suo flusso, magari esclami “Ho capito tutto!”.

 E questo è il più grande riconoscimento per qualunque poeta.