SAREMO

Lo chiamavano varietà by Tobia Teardo

Disegni di Massimo Manzali


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ANNI 50

 

Il festival di Sanremo nasce dal nulla, fra un accenno di terza guerra mondiale, quasi esplosa a causa del simpatico generale MacArthur, e qualche divertente test nucleare per decidere il più virile fra USA e URSS.

Così, tanto per riempire il vuoto della bassa stagione ligure, si decide di imbastire un super festival della canzone popolare italiana: per la prima edizione ci sono ben 4 artisti sul palco: il Duo Fasano, Achille Togliani e la potentissima Nilla Pizzi, una Ninja professionista allevata nel villaggio della Foglia che, dopo otto ore sul palco, vince nell’indifferenza generale del pubblico in sala. È un successone. Nasce così il leggendario Festival della canzone italiana.

E mentre Eisenhower riarma l’Europa e De Gasperi conquista il podio nei primi 7 governi della nuovissima repubblica italiana, Sanremo prosegue con sempre più energia, entrando quatto quatto nella vita di ogni cittadino.

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La prima decade sa un po’ di rancido: canzoni banali, mielose con Nilla Pizzi che distrugge gli avversari a colpi di “Grazie dei fiori”, “Vola colomba” e l’immancabile “Papaveri e papere”. Nessuna pietà per gli avversari, la sanguinaria Nilla non lascia prigionieri: con la seconda edizione del festival ottiene il primo, il secondo e il terzo posto grazie al potere dello sdoppiamento di Naruto.

Nel 1954 la spietata Pizzi non sente suonare la sveglia e Giorgio Consolini può vincere con “Tutte le mamme”. Un’edizione, quella, che rappresenta il vuoto più totale, un traguardo difficilmente raggiungibile: la musica ricalca se stessa e le melodie sono languide fino al vomito. Ripetitive come i matrimoni di Marilyn che quell’anno si sposa per la seconda volta. Fatto curioso, in quello stesso periodo avviene anche la prima vaccinazione di massa per la poliomielite. A proposito di ridondanze…   

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Alcuni dei migliori interpreti tentano di scimmiottare Nat King Cole che, con la sua meravigliosa “Unforgettable”, si impose sulle sonorità dell’epoca. Un discreto Claudio Villa (il Claudione nazionale) ci prova con “Buongiorno tristezza” nel ’55 e con “Corde della mia chitarre” nel ’57 ma non convince del tutto. Canzoni perdute nella memoria e nel fischiettio di alcuni nonni con la facciona piena di schiuma da barba. Così come si perderanno anche i primi sette episodi di casa Sanremo.

Scansiamo in fretta l’edizione del 1956, vinta da Franca Raimondi con “Aprite le finestre” la quale ha di notevole solamente l’onore di aver presenziato al primissimo Eurovision Song Contest.

E mentre il mondo va avanti con Israele che si crea un bel salottino in Giordania, la nascita della RAI e dei Puffi di Peyo: Sanremo non sente il passare degli anni così come la regina Elisabetta, incoronata nel 1953.

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Tutto una lagna fino al 1958 quando giunge in pista il grande, l’inimitabile Domenico Modugno. E il regno della signora Pizzi inizia a vacillare.

Nato a Polignano a Mare in provincia di Bari, il giovane Domenico impara prestissimo a suonare la fisarmonica e la chitarra, ancora in fasce compone le prime due canzoni. In pochi anni si afferma come gommista, latin lover e attore, e a metà degli anni ’50 già dilaga la febbre di Modugno. Tutti lo vogliono, tutti lo cercano. Fa l’attore, il poeta e il cantante e nel frattempo diventa pure siciliano onorario. La prima volta di Modugno a Sanremo avviene in incognito, camuffato da uomo qualunque. Finì ottavo con il brano “Musetto”. Ma non si perse d’animo.

La sua vera affermazione è proprio nel 1958 quando in coppia con Jonny Dorelli canta “Nel blu dipinto di blu” o, come viene conosciuta poi all’estero e nel mondo, “Volare”. Spacca tutto. Un successo planetario. Sicuramente la canzone italiana più famosa del mondo fino al 1986 con l’avvento di “Caruso” di Lucio Dalla.

La potentissima Nilla Pizzi non ci sta, tentando di strappare la vittoria con “L’edera”. Bella prova Nilla! Ma non c’è nulla da fare. Comunque si piazza seconda e terza in un perfetto canto del cigno.

Piccola parentesi: la macchina da scrivere Lettere 22 dell’Olivetti. Cosa c’entra? Poco. Ma voglio fare un appunto sulla società italiana dell’epoca: non mi sogno affatto di identificare la vita nello stivale dall’immagine insulsa che Sanremo cercava di rimandare. Perché se inizialmente si era trattato di creare un piccolo Festival per accompagnare i pasti dei turisti, in seguito (e repentinamente) si trasformò in una pretenziosa selezione dei “migliori” talenti nostrani da esporre al mondo, personalità senza volto per una nazione senza identità. Ma l’Italia di Sanremo era solo uno spaccato incompleto. Esisteva altro. 

Come, ad esempio Lettera 22, la macchina da scrivere più bella ed avanzata della storia creata da un’azienda, l’Olivetti, a quei tempi diretta dall’illuminato Adriano, figlio di Camillo il fondatore. Adriano Olivetti aveva un’idea di azienda comunitaria dove il benessere era ridistribuito fra tutti gli operai e i lavoratori, i quali godevano di servizi incredibili per l’epoca. Pensava alla fabbrica come un luogo di cultura e di sapere diffuso, un luogo rispettoso dell’ambiente e di cui andare fieri. Quindi l’Italia era anche una nazione dove in posti magnifici venivano creati prodotti magnifici e non soltanto vecchie ugole che cantavano stancamente di Papaveri e Papere. Importante ricordarlo. Domenico Modugno era l’avanguardia, l’Adriano Olivetti della musica e le sue canzoni erano come la Lettera 22: l’eccellenza Italiana famosa nel mondo.

Comunque…

Domenicone nostro sbaraglia tutti e l’anno successivo torna con un pezzo micidiale: “Piove (ciao ciao bambina)”, vince ancora e costringe il festival a cambiare le regole del gioco.  

Finalmente un interprete concreto, sfacciato, nostalgico. Parlando di suicidi il giovane Modugno inizia a farsi un nome. Lo farà con grandi successi come “Meraviglioso” dove un tizio lo convince a non lanciarsi da un ponte, lo stesso tizio che arriva tardi in “Vecchio Frak”. Lo farà ancora con la storia del salutino alla figlia prima di spararsi in “Piange il telefono” e una straziante dichiarazione di intenti in “Addio…addio”.

Si sente tutta l’allegrezza di quegli anni.

Gli anni ’50 si concludono con l’avvento di Asterix e le vittorie di Coppi. Ma la storia di Sanremo continua in parallelo con l’immagine che una certa Italia vuole dare di sé, un Italia da ricostruire, vittoriosa in tutte le gare in cui non partecipava.

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