La trappola di Kickstarter

Lory by Lorenzo


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Consumismo e giochi da tavolo

Siamo arrivati a nuove altezze nelle campagne di raccolta fondi dei giochi da tavolo: Too May Bones, un gioco di avventura amato da tutti gli esperti del settore, ha raggiunto 3,3 milioni di dollari nell’ultima. Idolatrato e feticizzato, i nuovi contenuti extra che sono stati proposti non sono neanche il centro della campagna fondi: è stato venduto di tutto, dalle precedenti espansioni al “pledge all-in”, cioè tutto ciò che è uscito per Too Many Bones al prezzo assurdo di 1100$.

L’altro giorno mi sono imbattuto in dei content creator per i GdT, dei recensori, che facevano una lista dei giochi che avevano paura ad intavolare e giocare: le loro collezioni erano così mastodontiche e gli acquisti erano stati così poco coscienti che questi due ragazzi che vedevo sullo schermo si potevano lamentare di non aver mai intavolato Assalto Imperiale, lo stesso Too Many Bones, il nuovo Descent. Giochi giganteschi che se sfruttati bene possono durare mesi e mesi di sessioni di gioco sempre nuove: tutto questo mi pareva così strano, che il clima culturale dei video più popolari sui GdT fosse di non riuscire a giocare abbastanza rispetto a quello che si è comprato.

Vorrei essere ben chiaro sul fatto che non è mia intenzione criticare come le persone spendano i propri soldi. A me quello che interessa con questo articolo è di fare un po’ di luce su come anche il consumatore medio di board games possa finire nelle trappole del marketing iper-aggressivo che stiamo vedendo negli ultimi tempi nella nostra industria. Troppe volte sento, da amici e conoscenti appassionati, di giochi che rimangono incellofanati per mesi e mesi — una mia ex collega diceva che col suo gruppo di gioco si trovavano per scartare, imbustare e defustellare i giochi della gigantesca collezione in comune, piuttosto che giocarli a volte. La ritualità che c’è intorno a questi eventi è molto affascinante, come lo è l’aspetto del puro collezionismo, ma esulando da questo mi sembra che ci sia un pattern comune di volere tutte le novità più eccitanti che il mercato ha da offrire senza rendersi conto delle conseguenze; economiche, di spazio, ecologiche e di poco tempo rispetto alla mole di contenuto e divertimento che si possiede già. Come lo shopping compulsivo c’è la ricerca della soddisfazione del desiderio — nella quantità, nella novità e nell’abbondanza. Io per primo so benissimo di non esserne immune.

Con questo nuovo strumento per vendere i giochi da tavolo che è Kickstarter (e ora la nuova piattaforma competitor: Gamefound) il potenziale economico di quest’industria ha raggiunto il massimo livello capitalistico: le aziende riescono a limare alla perfezione le perdite e i rischi dell’acquisto sono quasi tutti sul consumatore; spiegherò in breve il perché di tutto questo (dal lato di sfruttamento del lavoro non potrò prenderlo in esame perché esula totalmente dalle mie competenze: la dislocazione di quasi tutte le manifatture in Cina è di per sé problematica, ma oltre questo io non so fornire altre informazioni e me ne dispiaccio). Kickstarter è un sito di raccolta fondi che aveva iniziato come sito utopistico per poter trovare fette di mercato a progetti piccoli ed indipendenti; con il passare degli anni le grandi aziende ne hanno capito il potenziale e se ne sono praticamente impossessate per quanto riguarda i GdT. Kickstarter permette di risolvere uno dei problemi maggiori per le imprese, e cioè la possibilità che il prodotto rimanga invenduto: la raccolta fondi diventa una farsa, l’azienda mainstream sa che i propri progetti vedranno soddisfatti gli obiettivi di finanziamento. Quindi in pratica non si sostengono più i pesci piccoli per vedere i loro sogni nel cassetto realizzati: il supporto economico su KS diventa un acquisto in prevendita, un pre-acquisto, ad aziende multimilionarie che così hanno la certezza di non andare in perdita con progetti magari fallimentari e di non produrre più di quello che il mercato chiede.

Non sembra che ci sia nulla di male fino qui, no? La prevendita permette di far incontrare domanda con offerta, e il fatto che le aziende investitrici non ci rimettano dà loro la possibilità di proporci sempre prodotti nuovi (e infatti il gioco da tavolo sta diventando una piccola forza culturale che attrae sempre più persone). Ciò che succede di non-etico è tutto quello che sta attorno alla prevendita, partendo dai problemi basilari: le campagne di marketing sono diventate abilissime a fare leva sulle paure del consumatore. In prima istanza viene molto spesso ben chiarito (o lo chiarisce l’esperienza a posteriori) che i prodotti in prevendita non saranno di facile reperibilità finita la “raccolta fondi”: alcuni giochi costano fino al 20% in più quando poi raggiungono la distribuzione retail e gli stock retail sono così limitati (sempre per evitare la sovrapproduzione) che la maggior parte delle persone perde l’occasione di procurarsi certi giochi perché finiscono. Magari si stanno aspettando le recensioni, i pareri degli altri giocatori per fare acquisti informati e in men che non si dica il prodotto non è già più disponibile. Alcuni progetti portano questo problema alle estreme conseguenze: sono le esclusive Kickstarter, cioè i giochi non toccheranno mai la vendita al dettaglio. Una furbata, che obbliga a comprare a scatola chiusa senza sapere nemmeno bene la parte meccanica del gioco: ho visto un esempio di questo diversi mesi fa con un progetto chiamato Endless Winter: Paleoamericans. L’azienda non specificava e lasciava nel dubbio se il gioco avrebbe avuto una distribuzione oltre la campagna Kickstarter: quelli interessati al gioco hanno dovuto fare la scelta di comprare al buio, con in mano solo quello che l’azienda stessa diceva sul gioco e senza abbastanza recensioni che garantissero imparzialità. Stessa cosa è successa con HEL: The Last Saga, un altro vendutissimo progetto KS.

Arriviamo alla seconda parte del problema: comprare in prevendita, anche se con uno sconto, non significa fare un buon acquisto. Sopratutto Kickstarter non si prende responsabilità delle inadempienze da parte delle aziende e non dà garanzie: non quella di recesso del proprio ordine, e nemmeno i prezzi fissi di spedizione per la merce (che invece vengono calcolati quando il gioco ha finito la parte manifatturiera, a volte aumentando il prezzo a decine e decine di dollari in più). Alcuni giochi non sono stati nemmeno sostituiti quando erano presenti delle difettosità ed è il caso della campagna Kickstarter di Barrage della Cranio Creations, con le ruote di produzione che non funzionavano e che non sono state sostituite gratuitamente, ma a pagamento. Sono tutte cose che sono capitate e in progetti anche piuttosto importanti.

In sintesi, il problema di questa cultura del comprare in preordine è la discrepanza di quello che viene promesso nelle pagine di vendita e il risultato finale. La discrepanza avviene perché le aziende che cercano di creare hype annunciano i loro giochi come rivoluzioni copernicane del gaming: aiutate dagli youtubers pagati per sponsorizzare presentano il loro nuovo prodotto come miglioramento di classici amati e idolatrati. Il metodo è sempre quello di convincere i consumatori che quel particolare gioco sia la “next big thing” e non potendo prevedere il futuro e non avendo il prodotto in mano, il pubblico si convince a comprare per paura di perdere l’occasione del gioco della vita (qui entra anche in campo la bassa o nulla disponibilità al retail di alcuni giochi, di cui parlavo sopra nell’articolo). C’è stato un esempio di questo poco tempo fa: due giochi di colonizzazione spaziale, Fractal e Voidfall, hanno creato un così tanto interesse perché subito confrontati da tutti nella community a Twiligh Imperium ed Eclipse; “Voidfall è un Eclipse senza la componente fortuna, Fractal è un Twilight Imperium condensato in 3 ore”… Le persone su internet parlano e si fomentano a vicenda senza che sia stato possibile nemmeno giocarli questi nuovi titoli — e con le conoscenze date solo dalla pagina Kickstarter, messa in piedi dall’azienda, e i pochi gameplay (sponsorizzati) emersi. Questo è il lato problematico della faccenda.

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Voglio toccare brevemente un ultimo aspetto prima di trarre qualche conclusione: l’ultimo asso nella manica per manipolare il desiderio dei consumatori all’acquisto sono le espansioni e i contenuti extra. Come abbiamo detto, a volte interi giochi sono esclusive KS, ma è più comune che le raccolte fondi milionarie abbiano una serie di contenuti aggiuntivi che aumentino la spesa totale dell’acquirente. La paura di perdere delle espansioni valide non fa che moltiplicare quindi il problema della prevendita: molte di queste espansioni vengono vendute solo durante la raccolta fondi, hanno degli stock ancora più esigui al retail dei giochi base, e gli sconti aumentano proporzionalmente in base a quanto contenuto aggiuntivo compri… A dimostrazione di questo sono i “pledge all-in” che di solito sono tra gli acquisti più popolari: pledge all-in significa comprare tutto il contenuto disponibile per il gioco, in un raptus a metà tra l’ossessione del collezionismo e la paura che le cose non ci bastino. Di solito questi pledge costano dai 200 ai 400 dollari, in base al progetto. A questo esempio porto la campagna di Ankh, bellissimo gioco del designer-genio Eric M. Lang: il pledge all-in è costato 220$ più la costosissima spedizione, vista la mole dei prodotti (spedizione di cui però non posso dare dati certi, di solito per casi del genere varia dai 30 ai 50$, ma non ho informazioni attendibili di prima mano) — tutti questi soldi per ottenere il gioco base e tre espansioni mastodontiche (oltretutto difficilissimi da trovare ora che il gioco è uscito) e una marea di contenuti aggiuntivi di esclusive Kickstarter. Quasi la metà delle persone ha scelto questa opzione.


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La mia domanda è: ci serve tutta questa roba? È etico comprare in questo modo? Il modo più ragionevole di approcciare l’acquisto di un gioco a me sembra l’opposto di quella che ora è diventata la norma (almeno in America): un gioco base lo si compra, lo si prova un po’ di volte, lo si gode. Si cerca di avere un’esperienza di passione e divertimento; il punto focale, a parte le eccezioni, dovrebbe essere quello: l’esperienza del gioco. Se siamo molto soddisfatti di quello che abbiamo provato si va alla ricerca delle espansioni, se invece non ci piace si rivende il gioco nel mercato secondario. Questo nuovo marketing selvaggio impedisce tutto questo: impedisce l’acquisto ponderato, visto che non ci sono recensioni ed informazioni sufficienti, impedisce la gradualità dell’acquisto, visto che non si riescono a trovare le espansioni. Sicuramente il mercato dei GdT cresce, ed è un bene, ma la cultura GdT sta diventando profondamente infiltrata dal consumismo di origine capitalistico-americana: non è importante godersi le cose che si hanno, è importante che l’azienda riesca ad usare tutti i trucchetti che può per piazzare la maggior quantità di prodotti e perderci il minimo. E non importa se non li usiamo i giochi, o se lo shopping compulsivo possa diventare un problema anche nel mondo dei GdT: l’importante è non farsi sfuggire l’occasione di comprare il “prodotto perfetto”, quel gioco che l’azienda multimilionaria ci ha promesso che sarà il nostro preferito. A me tutto questo sembra sbagliato.