La logistica delle risorse: il realismo nel giochi da tavolo

Lory By Lorenzo


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Di nuovo, il mio articolo per il Golem’s Lab nasce da una riflessione sulla natura delle risorse nei giochi da tavolo — continuo su questo mio “percorso” forse perché l’elemento di accumulo e della gestione delle risorse è una delle mie parti preferite nell’esperienza ludica. In questo caso l’interrogativo che mi è sorto davanti, al quale questo articolo cerca di rispondere, è: perché nella maggior parte dei giochi la spazialità viene così trascurata? E sopratutto: perché quasi sempre alle risorse viene negata la possibilità di muoversi nello spazio di gioco?

Mi è venuto in modo naturale alla mente il gioco Teotihuacan, come a rappresentare esemplificando il problema che mi ponevo. Teotihuacan, dell’autore italiano Daniele Tascini, ha un design che amo molto — e il senso fondamentale del gioco è gestire le proprie materie prime per andare a guadagnare punti: costruendo la piramide centrale sul tabellone, avanzando sui tracciati della fede e dei morti. La meccanica che tiene insieme tutto ciò è lo “spostamento lavoratori”: i dadi-lavoratori vanno in diversi spazi della rondella-azioni e svolgono le loro attività per renderti il più importante (cioè con più punti vittoria) membro nella città di Teotihuacan.

 

Ora, io mi immagino questo omino che lavora per me e che si sposta attraverso la città; prima nel quartiere residenziale costruisce una casa con 2 risorse legno poi, nel turno dopo, si sposta e va a costruire un pezzo di piramide per 2 pietre ed un legno. Queste risorse per la sua seconda azione, dove se le è prese? Questa è la mia domanda. Certo, esse provengono dalla mia riserva personale: le ho accumulate con altre azioni di altri lavoratori, precedentemente. Ma come sono arrivate dal mio “magazzino” personale a lui, l’omino che deve costruire la piramide? E prima ancora di questo: come erano arrivate quelle risorse dai miei lavoratori (che le hanno raccolte) al mio magazzino?


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Questa domanda basilare, forse molto banale, secondo me offre spunti di riflessione interessanti per il nostro hobby — per lo studio dei design di giochi e la loro creazione. L’incongruenza tematica (voluta o meno che sia) sta nel fatto che Teotihuacan vuole simulare lo spazio (i lavoratori si muovono all’interno della città per svolgere azioni), ma non si pone il problema di come le risorse si spostino attraverso questo spazio: il gioco si limita a dare verosimiglianza alla raccolta dei materiali (i lavoratori che vanno in certi diversi luoghi a svolgere le loro mansioni di produzione), ma questi materiali sono presenti sempre ed ovunque dove ce ne sia bisogno, senza che venga data nessuna spiegazione meccanica di come questo accada. La riserva personale del giocatore è fuori dallo spazio: è ovunque, sempre.

 

Ogni gioco pone problemi di verosimiglianza perchè non può includere tutto nella propria simulazione ludica. I giochi non sono modelli di parti, zone, dell’universo conosciuto e non sono prettamente studi su come funzionino le cose. Per questo i designer devono scegliere, in base ai loro obiettivi (far divertire, far immedesimare, far riflettere, rendere utilizzabile, ecc…), cosa simulare e cosa omettere. Poi, oltretutto, ciò che viene messo nel design deve anche essere astratto a diversi livelli: alcune meccaniche andranno più in profondità a simulare la realtà dei fatti, altre saranno solo un’ellissi di come avvengono le cose “nel mondo” che noi stiamo simulando. Dare diverse quantità di dettaglio ai vari sistemi del gioco è una seconda difficoltà, che va affrontata in fase di design, e anch’essa ha a che fare con il realismo ludico.

 

Quello che in realtà mi sorprende è come la maggior parte dei giochi eurogame con una componente spaziale (magari un tabellone con diversi luoghi) omettano di rispondere alle domande: “come si spostano le risorse tra la mia riserva e i luoghi sul tabellone?” oppure “dove risiede il giocatore e ciò che egli possiede all’interno dello spazio di gioco?”. Meccanicamente queste risposte non vengono quasi mai date.

 

Questo problema, che io ho chiamato “la logistica delle risorse”, è una questione di realismo, di immedesimazione e di tema. Non si può simulare tutto nei giochi da tavolo, come dicevamo prima — e quindi la maggior parte dei giochi commerciali sceglie di omettere qualcosa, di non descrivere una parte del proprio tema, di mantenere delle falle nella coerenza e logica del gioco. In questo caso la falla è di come i “non pezzi” si muovano tra le varie aree di gioco: non ci si preoccupa di mostrare meccanicamente il funzionamento spaziale delle “cose” (le risorse, gli asset temporanei) sul tabellone; esse continuano a teletrasportarsi da un punto all’altro senza che venga data una spiegazione del come (mentre i pezzi — i lavoratori, le miniature, tutto quello che direttamente appartiene al giocatore — al contrario, seguono percorsi ben definiti ed il loro movimento viene ampiamente descritto).

 

Questi buchi di informazioni nei giochi da tavolo sono necessari come dicevamo, ma a volte possono essere molto gravi: se un gioco è molto tematico, e qualcosa di davvero incoerente accade, la sospensione dell’incredulità può essere minata togliendo molto dall’esperienza dei giocatori. Invece le omissioni che non minano l’immersività possono esistere (specie negli eurogame molto meccanici e poco tematici come Teotihuacan) perché ci pensano la fantasia e l’immaginazione dei giocatori a colmare la lacuna. In questo modo la logistica delle risorse viene spesso omessa senza che i giochi ne risentano troppo: la spiegazione meccanica necessaria alla coerenza di gioco non viene data, ma non è un buco di informazioni grave. I giocatori attivamente con le loro facoltà mentali riempiono quel buco e la maggior parte delle volte è sufficiente affinché il gioco rimanga godibile.

 

Un esempio che mi sembra chiarificatore dell’atteggiamento omissivo, ma non dannoso, è per me Concordia: lo scopo del gioco è quello di fare più punti nei panni di una influente famiglia romana antica. Per raggiungere questo scopo sarà essenziale fondare colonie sul tabellone, spendendo materie prime (argilla, metallo, ecc…) e procurandosele per investirle in altre colonie. Il punto è che queste risorse si muovono da una colonia all’altra, tra la Gallia e l’Egitto, per permettere di fondare gli avamposti dei giocatori — e ovviamente nessuna menzione viene fatta su come esse si spostino.

 

Quindi le domande senza una risposta sembrano essere le solite: “dove sta il giocatore sulla mappa?” e ancora “come si spostano le sue risorse?”. Queste risposte dobbiamo darcele da soli: sono omesse, ma implicite nel tema del gioco. Possiamo quindi supporre che la riserva personale del giocatore sia a Roma: impersoniamo famiglie romane del resto, non avrebbe senso altrimenti. Quindi le risorse che ci procuriamo arrivano dalle colonie, rimangono ferme a Roma, lì vengono vendute e, se servono, vengono spedite ai coloni nel resto della mappa per essere spese poi nelle varie provincie. I coloni sappiamo che si muovono, li vediamo muoversi — percorrono rotte navali e strade importanti attraverso la mappa: l’unica risposta sensata alla logistica delle risorse è che esse seguano ugualmente le linee percorse dai coloni. Praticamente, anche se non viene mostrato, tutto si muove implicitamente su queste linee, ma solo i coloni li vediamo, li manovriamo: serve che tematicamente noi ci immaginiamo che esista un network di trasporto, delle navi merci e delle carovane che percorrano la mappa invisibilmente. Quindi facciamo con la fantasia tutto quel lavoro mancante che il designer ha scelto di tralasciare per rendere fruibile e piacevole l’esperienza di gioco: in un gioco così piacevolmente meccanico e un po’ astratto non serve simulare questi aspetti perché si andrebbe ad appesantirlo con decine di regole in più.

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Questa risposta implicita, e prettamente tematica che da la nostra mente, serve: “come ci rimarremmo se ci venisse detto che gli antichi romani in Concordia usavano il teletrasporto per le risorse, come meccanicamente accade?”, “come sarebbe immaginare che il proprio magazzino con le proprie risorse non avesse un posto nello spazio della finzione, ma fosse solo un pretesto per far funzionare il gioco?”,  “come ci rimarremmo se non importasse per niente il tema e se esso fosse solo una bella coperta su uno scheletro di sole ossa (i meccanismi)?.

 

Il tema è necessario. Darsi delle risposte a queste domande è necessario, soprattutto per i giochi più tematicamente ambientati — parte del gioco in essi non è solo come si muovono gli ingranaggi, ma è anche la componente di immedesimazione, di simulazione e di roleplaying. Le domande che ora mi pongo sono: “ci sono dei giochi che si fanno carico dei problemi come la logistica delle risorse e che rendono questi problemi integrali all’esperienza di gioco?, “può la logistica delle risorse essere un tema divertente da esplorare nello spazio del boardgame design o viene sempre omesso per un motivo?”.

 

A queste domande vorrei rispondere con più calma, in un prossimo articolo che uscirà presto!