Il conflitto ludico ignorante

Radio Game By Alvin Palmi


5 minuti di lettura





Ho letto “l’educatore ignorante”, articolo di Tobia Teardo su questa stessa rubrica. Ci ho trovato finalmente un concetto semplice, persino banale, ma rarissimamente presente nei ragionamenti sui “bambini che giocano col telefono”: l’importanza del gioco in questione. Il fatto, quindi, che la domanda chiave non sia solo “da quanti minuti sta usando il telefono?”, ma anche e soprattutto “a cosa sta giocando?”.

Premessa: sono un rarissimo caso di adulto che non usa lo smartphone, nonché un fanatico dei giochi da tavolo in senso classico (quelli giocati tra persone fisiche con tabellone, carte, dadi e quant’altro) e per professione alleno i bambini, e vorrei sempre vederli correre e giocare all’aria aperta. Ciò detto, ogni volta che sento un adulto lamentarsi perché un bambino o adolescente “gioca troppo con il telefono” c’è sempre qualcosa che non mi convince. Provo a spiegare perché.

La prima argomentazione è la più banale: con quale credibilità un adulto che passa ore attaccato allo smartphone può proibire a un ragazzino di fare lo stesso? Ok, l’ho detto che era banale. Ma nella sua semplicità e linearità è esattamente il primo ragionamento che farà il nostro ragazzino. Non voglio cadere nel buonismo esasperato, non lancerò un appello tipo “giocate con i vostri bambini, invece che attaccarvi al telefono”. Anche perché sarebbe a rovescio la stessa sciocca semplificazione, ovviamente anche nel caso di un adulto ogni valutazione dipende dalla situazione e da cosa sta facendo col telefono. Però vi invito a riflettere, educatori o genitori che siate, sul fatto che gli esempi e la coerenza dei comportamenti rappresentano sempre un primo, fondamentale, messaggio educativo.

Veniamo al secondo punto, quello più interessante. Cosa sta facendo quindi il nostro bambino/adolescente col telefono? Qui potrebbe aprirsi un mondo di ipotesi e di ragionamenti sui video, sulle chat, sui social e sui mille anfratti della rete dove i ragazzini navigano e vivono, con tutti i rischi annessi e connessi. Ma siamo su un blog di giochi, e quindi ci focalizziamo sul caso del ragazzino che “gioca col telefono”. Sta giocando a scacchi on-line? Sta giocando a uno sparatutto? È immerso in un gioco second-life? Sta evolvendo la sua civiltà in un gestionale? Sta facendo una partita a un videogioco sportivo? Ognuna di queste categorie di giochi (e ovviamente ce ne sarebbero molte altre, con distinzioni più raffinate e confini più sottili) presenta caratteristiche diverse, pregi e difetti diversi, rischi diversi.

Detto che non esistono giochi “buoni” e “cattivi” in quanto tali, io getto la maschera e dichiaro subito la mia preferenza per i giochi gestionali e di sviluppo. Sono giochi spesso complessi, con tempi lunghi e forte componente cognitiva, che richiedono abilità strategiche e di pianificazione. Sono giochi che personalmente non vieterei mai, semmai cercherei di capirne bene i meccanismi (per poi, chissà, magari appassionarmici anch’io…). La cosa che mi sentirei di proporre a un ragazzino appassionato a questi giochi è di provare anche giochi da tavolo con analoghi meccanismi. Spesso me lo chiedo: perché un giovane capace di gestire ed evolvere una civiltà a “Age of Empires” (lo so, l’esempio denota l’età e gli anni passati da quando ci giocavo…) non dovrebbe poter fare lo stesso a Terra Mystica, Eclipse o Clans of Caledonia? Attenzione però a un grosso rischio legato a questo tipo di giochi: la modalità real-time. Quando un gioco non prevede i turni, o banalmente non va “in pausa”, ma procede anche quando si è disconnessi, rischia di creare dinamiche perverse, in cui non vince chi è più bravo ma chi passa più tempo connesso. Ho visto con i miei occhi ragazzini in piena crisi di nervi per un ritardo, magari tornando da una gita, perché “se non mi rimetto subito a giocare mi attaccano il villaggio”. Ecco, un gioco che prevede una dinamica simile va evitato in partenza!

Sui giochi di ruolo on-line, basati non solo sulla strategia ma anche sull’identificazione nel personaggio, e sui giochi “second life” si potrebbe aprire un altro capitolo amplissimo. Ma non ho né lo spazio né le competenze per ragionare a fondo sui meccanismi che spingono una persona (non per forza un bambino o un ragazzo) a investire emotivamente sull’identificazione con un alter ego virtuale. Non credo comunque che a questa dinamica vada data un’accezione necessariamente negativa. In fondo l’evasione dalla quotidianità e la necessità di dare spazio alla fantasia sono esigenze tipicamente umane, da gestire, ma non da stigmatizzare. Anche in questo caso, a un accanito giocatore di ruolo on-line proverei a proporre di provare ad immergersi in un role-game dal vivo. Con un bravo master (io ci ho provato, ma temo proprio di non avere questo talento…)e un gruppo di bambini, ma anche uno di adolescenti o di adulti, ci si può trovare coinvolti in splendide avventure!

Molti altri videogiochi sono invece basati su riflessi e mosse veloci. Può sembrare un paradosso, e sicuramente è un po’ una forzatura, ma credo che un Tetris, un Candy Crush e uno sparatutto vecchio stile possano essere accostati, e abbiano più cose in comune di quanto si pensi. Si tratta di giochi con investimento cognitivo ed emotivo limitato, in cui le abilità interessate sono riflessi, visualizzazione veloce e capacità di ragionamento rapido. Nulla in particolare contro questo tipo di giochi, che anche molti adulti usano come passatempo e “riempitivo”. Credo però che su questi abbia senso un ragionamento legato alle tempistiche: passare ore a fissare attentamente uno schermo (magari anche piccolo) e cliccare compulsivamente sui tasti, beh, sicuramente non è l’attività più sana che si possa immaginare!

Chiudo segnalando altri due possibili pericoli legati ad alcune categorie di giochi. Sul primo cito nuovamente l’articolo di Tobia: attenzione ai giochi che richiamano meccanismi legati al gioco d’azzardo! Anche se in forma totalmente gratuita e con ricompense puramente virtuali, diffidate di tutto ciò che richiama il meccanismo perverso delle slot machine.

Il secondo punto è un mio vecchio pallino, ed è un tema su cui ho una visione molto egualitarista, e spesso minoritaria. Non ho mai amato i giochi di carte con mazzi asimmetrici; quelli dove, per capirci, più carte compri più hai un mazzo forte. Molti lettori saranno cresciuti giocando a Magic, e sicuramente non apprezzeranno questa mia opinione. Ma personalmente vedere bambini sfidarsi a Magic (o Yu Gi Oh, o Pokemon…) con due mazzi di partenza chiaramente sbilanciati, e magari sentir dire al perdente “devo assolutamente comprare quella carta con cui mi hai sconfitto” è una cosa che ho sempre faticato a digerire. Da qui l’ultimo personalissimo appello: attenzione a quei giochi che consentono o chiedono di pagare per sbloccare livelli o abilità. Da sportivo lo trovo un insulto all’idea stessa di equità competitiva, e se fossi genitore non vorrei trovarmi con un bambino disperato che mi supplica di regalargli quell’upgrade senza cui non riesce più a vincere.

 

https://didatticapersuasiva.com/genitori/disturbi-psicologici-nei-bambini-derivanti-dai-videogiochi